
L’Intelligenza Artificiale (AI) non è più una questione di futuro, ma una realtà che permea le nostre attività quotidiane. Come Associazione, riteniamo fondamentale promuovere un dialogo costante e approfondito su questo tema. Per questo, abbiamo chiesto a Carla Trabuio, Project Manager in ambito sicurezza delle informazioni, di guidare un nuovo percorso collaborativo, coinvolgendo i soci più attivi nel confronto sull’AI, Ugo Fiasconaro e Maurizio Fenati. Le domande a cui Carla risponde in questo articolo sono il punto di partenza per una serie di incontri e riflessioni che mirano a esplorare il potenziale e le sfide dell’AI dal punto di vista dei professionisti della sicurezza, per un approccio sempre più consapevole e strategico.
- Quali sono le difficoltà di integrare l’intelligenza naturale (umana) con l’intelligenza artificiale?
“Quello che maggiormente ho notato nei team che progettano con l’AI è l’emergere di dinamiche nuove e complesse. Queste sfide, alcune differenti e altre simili al passato, richiedono una gestione attenta.
In primo luogo, una delle più frequenti è l’overconfidence, non in sé stessi ma nei risultati dell’AI: capita spesso che i team prendano per buoni output che in realtà andrebbero messi in discussione, perché formulati su basi statistiche ma non sempre corrette. Questo è un fenomeno già studiato e riconosciuto in ambito psicologico e organizzativo (fonte: Taylor & Francis Group).
In secondo luogo, ho osservato che per ottenere risultati davvero apprezzabili è sempre più importante che chi usa l’AI abbia una profonda conoscenza del dominio in cui opera. Non basta più “chiedere all’AI”: bisogna sapere cosa chiedere, e soprattutto interpretare correttamente la risposta (fonte: Medium – Akash Gupta).
Infine, uno degli aspetti più complessi è la gestione della mole di dati: un modello general-purpose necessita di iterare attività su sottoinsiemi di dati, il che implica che i team sviluppino abilità, più sofisticate, di organizzazione e utilizzo della propria conoscenza. La capacità di integrare fonti diverse e ripulire i dati diventa strategica (fonte: LeewayHertz).”
- Cosa ti sorprende delle persone che reagiscono all’AI?
“Mi sorprendono molto le persone che, di fronte all’AI, mantengono uno sguardo aperto e critico: la considerano uno strumento, non un oracolo o un pericolo. Questo atteggiamento – né ingenuo né ostile – è raro ma estremamente costruttivo. È ciò che consente di sfruttare davvero il potenziale di questi strumenti, senza idealizzarli né temerli (fonte: Medium – Adam Goldfisher).
Mi colpiscono anche coloro che mettono in discussione l’empatia dell’AI, dicendo “l’AI non potrà mai provare sentimenti”, senza però chiedersi se noi, essere umani, possiamo sviluppare empatia verso la tecnologia. Questo fenomeno è già osservabile: l’AI, se ben progettata, stimola risposte empatiche nelle persone. Un tema affascinante, che riguarda tanto la psicologia umana quanto la progettazione di interfacce (fonte: Neuroscience News).
Soprattutto in questo periodo quello che mi chiedo non è se l’AI potrà mai provare sentimenti, ma se gli esseri umani potranno migliorare la propria intelligenza emotiva. Auspico che vi sia abbastanza intelligenza umana da contrapporre la nostra parte egoica alla parte animica. Di fatto la nostra componente animica ci ha portati allo sviluppo delle civiltà. Tutti questi paroloni per dire che sento che sia arrivato il momento per l’essere umano di migliorare la propria empatia e simpatia.”
- Può la progettazione con l’AI aiutare i PM a rispettare le scadenze?
“L’AI general-purpose può aiutare moltissimo a rispettare le scadenze, soprattutto quando viene usata in ambiti strutturati e su attività per cui esiste già una buona base dati. L’automazione dei compiti ripetitivi e la riduzione dei tempi decisionali permettono di rispettare i piani e spesso persino anticiparli (fonte: Microsoft 365). Ad esempio, per arricchire e migliorare velocemente la presente intervista attraverso l’aggiunta di contenuti, ho preferito ricercare le fonti attraverso l’AI. Ho provveduto anche a verificare il link perché, come analizzato prima, l’AI può commettere errori ed i risultati vanno verificati.
Ma nei progetti, dove l’AI deve essere addestrata da zero o su dati non ancora disponibili, succede spesso che i programmatori debbano prima accedere a basi informative particolari. Questo processo rallenta inevitabilmente i tempi. È un problema noto, e riguarda proprio la difficoltà di ottenere dataset sufficienti e puliti per i nuovi modelli (fonte: Actu.ai).”
Conclusione
Nel dialogo tra intelligenza umana e artificiale non esistono scorciatoie: ciò che emerge è che la vera sfida non è tecnica, ma profondamente culturale. Non basta addestrare un modello: serve anche formare le persone a convivere con strumenti che non sostituiscono il pensiero, ma lo supportano, lo amplificano e lo rendano profondo. L’essere umano ha bisogno di riflettere sulle proprie capacità come non mai.
La voce raccolta in questa intervista ci ricorda che l’AI non è la fine del pensiero critico, ma il suo banco di prova. È nelle mani dei team, dei project manager e di chi ogni giorno scambia informazioni, si pone domande e ha delle intuizioni, che si gioca il vero successo dei progetti di domani.
E forse, più che chiederci quanto l’AI sia empatica, dovremmo domandarci quanto siamo disposti noi a esercitare empatia verso tutto il genere umano e quanto siamo disposti ad abbracciare ciò che ci sfida a pensare diversamente.
Complimenti a Carla per gli spunti di riflessione.
ACW
Roma, 28 maggio 2025